La Terra primordiale: oceani di magma e la sua evoluzione

Scoperta di tracce chimiche degli oceani di magma nella Groenlandia meridionale offre uno sguardo al passato fuso della Terra.

Terra vista dall'alto.

4 miliardi di anni fa, la Terra era composta da una serie di oceani di magma profondi centinaia di chilometri. (Larich/Shutterstock)

La Terra, circa 4,5 miliardi di anni fa, non era l’ambiente ospitale che conosciamo oggi. Durante i primi 50 milioni di anni, la sua superficie era coperta da oceani di magma in ebollizione, causati dal calore proveniente dall’interno del pianeta. Questo stato fuso della Terra è stato fondamentale per la formazione della sua struttura, della chimica della sua superficie e dell’atmosfera primordiale.

Si pensava che le rocce contenenti indizi su questa fase primordiale fossero state perse a causa dei movimenti delle placche tettoniche. Tuttavia, un team di ricerca ha scoperto i resti chimici degli oceani di magma in rocce di 3,7 miliardi di anni fa provenienti dalla Groenlandia meridionale. Questa scoperta offre uno sguardo affascinante a un’epoca in cui la Terra era quasi completamente fusa.

La Terra è il risultato di un sistema solare primordiale caotico, caratterizzato da impatti catastrofici tra la Terra e altri corpi celesti. La formazione della Terra culminò con la collisione con un pianeta delle dimensioni di Marte, che portò alla formazione della Luna. Questi impatti generarono abbastanza energia da fondere la crosta terrestre e gran parte del mantello, creando oceani di magma su scala planetaria.

Oggi, la crosta terrestre è solida e il mantello è considerato un solido plastico, molto diverso dal magma liquido dell’epoca primordiale. Durante il raffreddamento della Terra, gli oceani di magma si solidificarono, avviando il processo di trasformazione del pianeta in quello che conosciamo oggi.

I gas vulcanici emessi dagli oceani di magma potrebbero aver contribuito alla formazione dell’atmosfera primordiale, che a sua volta avrebbe sostenuto la vita. Tuttavia, trovare prove geologiche di questo stato fuso passato è estremamente difficile. Le rocce di quel periodo sono state riciclate dalle placche tettoniche, ma le loro tracce chimiche potrebbero essere conservate nelle profondità della Terra.

Si ritiene che i residui minerali di questo periodo siano conservati nelle zone isolate tra il mantello e il nucleo terrestre, ma sono inaccessibili per noi. Inoltre, se emergessero in superficie, i cristalli degli oceani di magma si fonderanno e solidificheranno nuovamente, lasciando solo tracce delle loro origini nelle rocce vulcaniche.

La Groenlandia è stata identificata come un luogo ideale per cercare queste tracce del passato fuso della Terra. Le rocce della cintura supracrustale di Isua, nel sud-ovest della Groenlandia, sono tra le più antiche del mondo, risalenti a circa 3,7-3,8 miliardi di anni fa. Analizzando queste rocce, i ricercatori hanno scoperto firme uniche di isotopi di ferro, che indicano la presenza di minerali formati durante la cristallizzazione degli oceani di magma.

Le rocce di Isua sono emerse in superficie grazie al processo di fusione e solidificazione che avviene all’interno della Terra. Quando regioni del mantello si fondono, si alzano verso la crosta terrestre, producendo rocce vulcaniche. Lo studio della chimica di queste rocce può fornire informazioni sulla composizione del materiale fuso che le ha generate.

I risultati di questa ricerca rappresentano alcune delle prime prove geologiche dirette della presenza di cristalli degli oceani di magma nelle rocce vulcaniche sulla superficie terrestre. Gli scienziati sperano di trovare altre rocce vulcaniche antiche in tutto il mondo per approfondire la comprensione del passato della Terra. Inoltre, potrebbero essere studiati vulcani moderni come quelli delle Hawaii e dell’Islanda per ulteriori informazioni sul passato antico del nostro pianeta.

In conclusione, la scoperta di tracce chimiche degli oceani di magma nella Groenlandia meridionale fornisce un’importante finestra sul passato fuso della Terra. Questo studio potrebbe aprire la strada a ulteriori scoperte sul violento passato del nostro pianeta e sulla sua evoluzione verso l’attuale stato di abitabilità.

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