Clamorosa scoperta: i batteri della lebbra riprogrammano le cellule del fegato negli armadilli

Chrtlmn
Fonte: Pexels/Chrtlmn

Una scoperta sensazionale potrebbe aiutare la medicina per quanto riguarda la rigenerazione del fegato, e l’aiuto potrebbe arrivarci, paradossalmente, da una delle malattie più drammatiche della storia dell’Europa: la lebbra. Secondo tale ricerca, pubblicata su Cell Reports Medicine, il batterio della lebbra (Mycobacterium leprae) sarebbe in grado di riprogrammare le cellule del fegato generando così nuovo tessuto cellulare.

Questo è quanto osservato sugli armadilli contagiati dallo stesso batterio che causa la lebbra negli esseri umani: il fegato degli esemplari malati risulterebbe accresciuto di un terzo rispetto al normale, senza però mostrare alterazioni nelle sue funzioni. Sappiamo già quanto straordinarie siano le capacità rigenerative del fegato, tanto che se vengono asportati due terzi del fegato di un donatore ai fini di un trapianto, il rimanente può ricostituirsi fino a tornare alle grandezze normali.

Tuttavia, ed è qui che questo studio svolge un ruolo fondamentale nella ricerca medica, questo processo è più difficile da provocare nei fegati malati dei pazienti con patologie croniche e degenerative quali la cirrosi epatica. Ma come è possibile che un patogeno, tra l’altro particolarmente dannoso per il nostro organismo, riesca a stimolare la rigenerazione cellulare del fegato, con un effetto addirittura simile a quello prodotto dalle cellule staminali?

I ricercatori dell’Università di Edimburgo che hanno condotto la ricerca spiegano il fatto, che chiamano “alchemia biologica”, come la conseguenza della necessità del batterio di diffondersi, ad ogni costo e con ogni mezzo. Il mezzo, in questo caso, consiste nel creare nuovo tessuto in cui annidarsi, così da avere maggiori possibilità per espandersi nell’organismo. Il batterio della lebbra “manipola” le cellule facendole regredire a uno stato di immaturità durante il quale migrano maggiormente, trasformandosi così in vettori ideali con cui il batterio passa in altri organi del corpo.

Una strategia che, per noi, potrebbe essere utile se studiata e controllata a fini medici. Gli studi sugli armadilli comune o a nove fasce (Dasypus novemcinctus), ovvero alcuni tra i pochi mammiferi dai quali possiamo contrarre la lebbra, dimostrano che questi animali, una volta infettati, mostrano dei fegati più grandi, perfettamente sani e funzionanti, confermando quanto era stato già esaminato sulle colture di cellule di topo (dunque in laboratorio, e non su animali vivi).