Il James Webb Space Telescope scopre vapore acqueo intorno ad un pianeta extrasolare

Se confermata, la presenza di un’atmosfera rappresenterebbe una svolta per la ricerca sugli esopianeti.

Un nuovo passo in avanti per la ricerca di vita extraterrestre è stato realizzato grazie al James Webb Space Telescope (JWST) che ha osservato, per la prima volta, il vapore acqueo nell’atmosfera di un lontano pianeta roccioso. La sostanza potrebbe indicare la presenza di un’atmosfera intorno al pianeta extrasolare, una scoperta importante per la nostra ricerca di mondi abitabili al di fuori del Sistema Solare. Allo stesso tempo, gli scienziati avvertono che questo vapore acqueo potrebbe provenire dalla stella ospite del pianeta piuttosto che dal pianeta stesso. “Il vapore acqueo in un’atmosfera su un pianeta roccioso caldo rappresenterebbe un importante passo avanti per lo studio degli esopianeti“, ha dichiarato Kevin Stevenson, ricercatore principale dietro le scoperte e ricercatore del laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University. “Ma dobbiamo stare attenti e assicurarci che non provenga dalla stella“. L’esopianeta, designato con il nome di GJ 486 b, orbita intorno a una stella nana rossa situata a 26 anni luce di distanza nella costellazione della Vergine. Sebbene abbia tre volte la massa della Terra, è meno di un terzo delle dimensioni del nostro pianeta. GJ 486 b impiega meno di 1,5 giorni terrestri per orbitare attorno alla sua stella ed è probabilmente bloccato in modo mareale alla nana rossa, il che significa che mostra perennemente la stessa faccia alla sua stella.

Il grafico mostra lo spettro di trasmissione ottenuto dalle osservazioni Webb dell’esopianeta roccioso GJ 486 b. L’analisi del team scientifico mostra accenni di vapore acqueo. I modelli al computer mostrano che il segnale potrebbe provenire da un’atmosfera planetaria ricca di acqua (indicata dalla linea blu) o da macchie stellari della stella ospite nana rossa (indicata dalla linea gialla). Credits: NASA, ESA, CSA, Joseph Olmsted (STScI)

Le nane rosse come la stella madre di GJ 486 b sono la tipologia più comune di stelle nel cosmo, il che significa che, statisticamente parlando, è più probabile che si trovino esopianeti rocciosi in orbita intorno a questo tipo di oggetto stellare. Le stelle nane rosse sono anche più fredde di altri tipi di stelle, il che significa che un pianeta deve orbitare in una posizione ravvicinata per avere una temperatura abbastanza calda da ospitare acqua liquida, un elemento vitale necessario per la vita. Ma le nane rosse emettono anche violente e potenti radiazioni ultraviolette e di raggi X quando sono giovani, in grado di spazzare via le atmosfere di pianeti troppo vicini, rendendoli inospitali per eventuali forme di vita. Ciò significa che gli astronomi sono attualmente ansiosi di scoprire se un pianeta roccioso in un ambiente così ostile potrebbe riuscire sia a formare un’atmosfera che a mantenerla abbastanza a lungo da permettere alla vita di prendere piede, un processo che ha richiesto circa un miliardo di anni sulla Terra. Nel tentativo di rispondere a questa domanda, il team ha puntato il JWST e il suo strumento Near-Infrared Spectrograph (NIRSpec) verso GJ 486 b e ha osservato il pianeta mentre attraversava la faccia della sua stella. Nonostante il pianeta sia estremamente vicino alla sua stella e abbia una temperatura di 430 gradi Celsius, che lo rende sfavorevole all’acqua liquida, gli astronomi hanno scoperto tracce di vapore acqueo. Gli astronomi hanno osservato GJ 486 b con il JWST per due transiti, ognuno dei quali è durato appena un’ora. Hanno quindi analizzato i dati raccolti utilizzando tre metodi distanti che hanno mostrato lo stesso schema: uno spettro piatto con un picco interessante nella luce infrarossa a onde corte determinando che la causa più probabile di questo picco era la presenza di vapore acqueo. L’analisi del team scientifico mostra la presenza di vapore acqueo; tuttavia, i modelli al computer mostrano che il segnale potrebbe provenire da un’atmosfera planetaria ricca di acqua o da macchie stellari della stella ospite nana rossa. I due modelli divergono notevolmente a lunghezze d’onda infrarosse più corte, indicando che saranno necessarie ulteriori osservazioni con altri strumenti Webb per limitare la fonte del segnale dell’acqua.
Stiamo osservando un segnale ed è quasi certamente dovuto all’acqua“, ha detto Sarah Moran, autrice principale della ricerca e astronoma dell’Università dell’Arizona. “Ma non possiamo ancora dire se quell’acqua fa parte dell’atmosfera del pianeta, il che significa che il pianeta ha un’atmosfera, o se stiamo solo vedendo una firma d’acqua proveniente dalla stella.” Il vapore acqueo è già stato precedentemente osservato nelle macchie stellari. Queste macchie sono regioni più scure e più fredde delle stelle che si formano quando alte concentrazioni del campo magnetico in profondità all’interno di una stella vengono portate in superficie. Queste regioni possono formare brillamenti solari o espulsioni di massa coronale. Anche se la stella ospite di GJ 486 b è più fredda del Sole, il vapore acqueo potrebbe ancora concentrarsi nelle macchie stellari. In tal caso, ciò potrebbe creare un segnale che imita un’atmosfera planetaria. Ammesso che ci sia un’atmosfera intorno a GJ 486 b, la radiazione della sua stella madre nana rossa la eroderà costantemente, il che significa che dovrà essere rifornita dal vapore proveniente dall’interno dell’esopianeta prodotto dall’attività vulcanica. Per determinare se questo vapore acqueo provenga da un’atmosfera intorno a questo pianeta extrasolare e quanta acqua è presente, gli astronomi dovranno osservare ulteriormente GJ 486 b e la sua stella. Per fare ciò, il Mid-Infrared Instrument (MIRI) del JWST esaminerà il sistema, concentrandosi sul “lato diurno” permanentemente rivolto verso le stelle del pianeta. Se GJ 486 b avesse un’atmosfera sottile o nessuna atmosfera, allora la regione più calda del suo lato diurno dovrebbe trovarsi direttamente sotto la stella nana rossa. Se questo punto più caldo è sfalsato, tuttavia, ciò potrebbe indicare la presenza di un’atmosfera sufficientemente densa da far circolare il calore. La ricerca è stata pubblicata su Astrophysical Journal Letters ed è già disponibile in versione prestampata su arXiv.org.