Il cavallo di Troia è realmente esistito?

Nella guerra di Troia è particolarmente famosa la figura del cavallo che consentì ai soldati greci di entrare nell’antica città. Anche nei film di Hollywood con Brad Pitt nel ruolo di Achille e nella classica tradizione popolare, la figura del cavallo è essenziale nel racconto. Ma il cavallo, dopo tutto, esisteva? La risposta breve è che non abbiamo prove sia dal punto di vista storico che l’archeologico. Il poeta greco Omero, nato intorno all’VIII secolo a.C., scrisse l’Odissea, un racconto dell’eroe Ulisse che tornava a casa dopo la guerra di Troia e l’Iliade, un resoconto più dettagliato dello stesso conflitto. Secondo la leggenda omerica, che coinvolge divinità e forze mitologiche, gli Achei (uno dei nomi dei greci dell’epoca), guidati da Agamennone e in compagnia di eroi come Achille, imposero alla città un assedio di 10 anni, non riuscendo ad invaderla con la forza. Alla fine decisero di fingere di rinunciare alla guerra, lasciando dietro di sé un grande cavallo di legno. Nella parte più famosa della storia, i Troiani celebrano la loro vittoria e credono che il cavallo sarebbe un’offerta alla dea Atena, un dono dei Greci, e lo portano all’interno delle mura. Di notte, i soldati scendono da cavallo e radono al suolo la città, bruciandola completamente e vincendo infine il conflitto.

Testimonianze della guerra di Troia


Passando dal mito alla realtà, cosa sappiamo? Ebbene, “Troia” era probabilmente il nome di una città dell’età del bronzo nell’attuale Hisarlık, l’odierna Turchia. Nelle rovine trovate nel sito nel 1870, punte di freccia e prove di fuoco furono viste in sedimenti datati al 1.200 a.C., generalmente corrispondenti alle date citate da Omero. Tuttavia, non c’è modo di sapere se sia avvenuto un assedio, tanto meno la sua durata. Per quanto riguarda il cavallo, tra l’altro, Omero lo menziona brevemente solo nell’Odissea, per illustrare la fine della guerra a cui Odisseo partecipa, e la creatura di legno è descritta più dettagliatamente solo nell’Eneide, opera scritta dal romano poeta Virgilio più di mille anni dopo. Nell’improbabile ipotesi che l’autore avesse qualche resoconto affidabile dell’epoca, gli archeologi ritengono che il cavallo sarebbe più metaforico che letterale. Vale la pena ricordare che anche Omero è una figura dubbia e forse anche leggendaria, poiché la scarsità di prove fa credere ad alcuni studiosi che si trattasse di un’idealizzazione dell’antica Grecia, pseudonimo sotto il quale diversi autori pubblicarono. Il cavallo di Troia, quindi, sarebbe un mito probabilmente ispirato al modo in cui le macchine d’assedio venivano avvolte in pelli di cavallo inumidite per evitare che prendessero fuoco, ad esempio. Il cavallo, quindi, potrebbe essere stato un ariete – una macchina fatta per aprire le porte finché non si aprivano – o un altro strumento di guerra che garantiva ai Greci l’ingresso a Troia, in un modo molto meno subdolo. Non sarebbe possibile che i resti di un oggetto di legno sopravvivessero fino ai giorni nostri per poterli indagare, quindi non c’è modo di dimostrarne l’esistenza. Quello che sappiamo per certo, quindi, è che Troia bruciò, e niente di più e oggi, di quel racconto, ci rimane in alcuni modi di dire e i nomi dati ai virus informatici, i famosi Trojan.