Qual è la distanza minima per sopravvivere a un’esplosione nucleare? La domanda, per quanto inquietante, ha solide basi scientifiche. Un’esplosione da 1 megaton, molto più potente della bomba sganciata su Hiroshima, genera una serie di effetti immediati e secondari, la cui intensità varia a seconda della distanza dall’epicentro e della posizione dell’individuo al momento dell’impatto. Il primo fenomeno rilevabile è il flash termico: un lampo di luce e calore che si propaga alla velocità della luce, in grado di causare cecità temporanea fino a oltre venti chilometri durante il giorno e anche ottanta nelle ore notturne. Quasi simultaneamente arriva la radiazione termica, capace di produrre ustioni gravi: a otto chilometri si verificano ustioni di terzo grado, a undici di primo grado. In seguito si genera l’onda d’urto, un fronte di pressione e vento che può radere al suolo strutture leggere fino a sei chilometri dal punto di esplosione. A distanze inferiori a un chilometro, la violenza dell’onda raggiunge picchi devastanti, con venti superiori ai settecento chilometri orari e pressioni letali per qualunque organismo o edificio. Infine, le particelle radioattive liberate dalla deflagrazione ricadono a terra sotto forma di fallout.
Se la bomba esplode al suolo, il materiale contaminato sollevato dal cratere si combina con radionuclidi e si disperde nell’aria, con effetti potenzialmente letali nel raggio di decine di chilometri. La sopravvivenza non dipende soltanto dalla distanza, ma anche dal tipo di riparo: chi si trova in edifici solidi di cemento armato, privi di finestre, ha maggiori probabilità di salvarsi rispetto a chi si espone all’esterno o in edifici leggeri. Le stanze interne, lontane da aperture, riducono il rischio di essere colpiti dai vetri o investiti dai flussi d’aria compressa. Anche pochi secondi di reazione, se impiegati per cercare rifugio, possono fare la differenza. Nelle zone comprese tra tre e dieci chilometri dal punto zero, in assenza di ripari adeguati, la sopravvivenza è improbabile. Oltre tale raggio, invece, la probabilità aumenta significativamente, sebbene rimangano i rischi connessi all’esposizione alle radiazioni. L’analisi degli effetti di una singola detonazione nucleare mette in luce la fragilità delle strutture urbane e la vulnerabilità biologica degli esseri umani. In uno scenario di guerra nucleare, anche limitato, le conseguenze sarebbero incalcolabili e si estenderebbero ben oltre il momento dell’esplosione iniziale. Una riflessione non solo teorica, ma profondamente legata alle scelte geopolitiche del presente. L’articolo originale è stato pubblicato su Science Alert.