Tempeste di sabbia spaziali e anelli alieni: il James Webb scopre due pianeti come in Dune

Nubi di silicati, atmosfere infuocate e dischi di polvere attorno a due colossi gassosi a 300 anni luce: una scoperta che riscrive la fantascienza in chiave scientifica.

Per la prima volta nella storia dell’osservazione astronomica, due esopianeti giganti sono stati studiati in dettaglio grazie al telescopio spaziale James Webb, rivelando atmosfere cariche di nubi di silicati e la presenza di un disco di polveri che potrebbe preludere alla formazione di lune. I due pianeti, denominati VHS 1256 b e VHS 1256 c, orbitano attorno alla stessa stella a circa 300 anni luce dalla Terra, in un sistema che mette alla prova i modelli classici di formazione planetaria. Il primo, con una massa 14 volte superiore a quella di Giove, presenta un’atmosfera turbolenta e ricca di sabbia silicatica sospesa, un fenomeno mai osservato prima in modo diretto su un mondo al di fuori del Sistema Solare. L’altro, meno massiccio ma non meno interessante, è circondato da un disco di materiale formato anch’esso da silicati, che potrebbe costituire il preludio alla formazione di satelliti naturali.

I dati sono stati raccolti dal JWST sfruttando la sensibilità degli strumenti nell’infrarosso medio, permettendo di identificare in maniera precisa la composizione chimica delle polveri presenti. La scoperta, pubblicata su Nature, è stata possibile grazie al lavoro di un team internazionale a cui ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con la collaborazione di Valentina D’Orazi dell’Università di Roma Tor Vergata, la quale ha sottolineato l’importanza di queste osservazioni per comprendere i meccanismi atmosferici nei pianeti giovani e la dinamica delle polveri in ambienti esoplanetari. L’osservazione di silicati in sospensione atmosferica e di anelli circumplanetari costituiti da sabbia rappresenta un passo decisivo verso una conoscenza più profonda dei processi di accrescimento e formazione planetaria. Queste evidenze sperimentali aprono scenari fino a ieri confinati alla teoria o alla letteratura di fantascienza, evocando mondi dal cielo polveroso che ricordano le suggestioni descritte da Frank Herbert nel suo celebre ciclo di Dune. Ma ora non si tratta più di immaginazione, bensì di dati concreti, raccolti da uno strumento che sta rivoluzionando la nostra comprensione dell’universo extrasolare. Lo studio pubblicato su La Stampa.